Iconografia
L’iconografia lo rappresenta generalmente in abiti sacerdotali, con in mano un libro e la verga fiorita (che germogliò e diventò un bell’elce), richiamando, pertanto, anche elementi legati agli eventi miracolosi che si narrano intorno alla sua vita.
Il valore simbolico dell’albero, e la religiosità a esso collegata, deriva dai culti pagani che i Longobardi trasferirono nella religione cristiana, appena abbracciata.
In Valle Umbra, questo valore simbolico sembra insito, in particolare, nella pianta d’olivo: con il martirio di sant’Emiliano, a Trevi, e con san Felice a Giano dell’Umbria.
Vita
Fortunato nacque nel IV secolo nel territorio di Montefalco e qui svolse il servizio sacerdotale (a Turri o a Turrita di Montefalco), chiamato a servire Dio e la comunità cristiana locale dal vescovo Ceciliano per le sue innate virtù di carità, umiltà e grande amore per il prossimo.
La storia lo ricorda umile tra gli umili e assai operoso.
Di modestissime origini, per vivere lavorava i campi come un qualsiasi contadino della zona (tra il III e il IV secolo era abbastanza usuale che i ministri del culto lavorassero).
Le tradizioni locali tramandano che un giorno, mentre arava un campo (detto agello, probabilmente non lontano da Camiano Grande) con i buoi, ebbe la fortuna di trovare due monete, apparentemente di scarso valore.
Durante la giornata incontrò un pellegrino che gli chiese la carità. Fortunato, non ricordandosi subito del ritrovamento, lo invitò a seguirlo nella sua modestissima abitazione, ma su insistenza del povero che voleva continuare il suo viaggio, si ricordò delle monete e gliele donò prontamente: in quell’atto i denari si trasformarono in oro e il pellegrino si rivelò un angelo inviato dal Signore, dimostrando così l’importanza fondamentale della carità per la vita dei cristiani e testimoniando inequivocabilmente le sante virtù di Fortunato.
Un altro evento miracoloso della vita del Santo di Montefalco è legato alla trasformazione della sua verga campestre (il pungolo con cui governava i buoi usati per tirare l’aratro nei campi): questa germogliò, mise radici e divenne un bell’albero, all’ombra del quale i fedeli continuarono a lungo a onorare il Santo: «[…] Ancor oggi dagli abitanti è chiamato quel luogo, dove il pungolo divenne albero, ‘all’albero santo’ […]» (S. Nessi, 2006).
Secondo alcune storie locali, l’albero fu sradicato e abbattuto dal vento e dalla neve probabilmente nell’inverno del 1870, quando era ormai quasi secco (S. Fortunato di Montefalco, opuscolo).
Nell’area di Turri di Montefalco, in quella che può essere definita una delle zone più belle e panoramiche della Valle Umbra meridionale, sorge la chiesa-convento di San Fortunato. Poco lontano, in mezzo all’attiguo bosco vi sono le cosiddette «Grotte di San Fortunato», così ce le descrive Silvestro Nessi (S. Nessi, S. Ceccaroni, 1974): «vani scavati in un banco di breccia e di argilla, di cui quello centrale a forma di croce usato come oratorio: esemplare antichissimo e quasi unico di un sotterraneo dedicato al culto in epoca paleocristiana, forse la ‘cella’ del Santo nominata da Audelao nella leggenda». Per inciso Audelao, presbitero longobardo di Coccorone (l’odierna Montefalco), tramandò le «storie» dei santi Fortunato e Severo.
Protezione
San Fortunato è il primo patrono di Montefalco e la sua festività cade l’1 giugno.