La mietitura

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Le spese della mietitura erano a carico del colono, che aveva l’onere di pagare l'”opra” (cioè gli operai) e di offrire a tutti i lavoranti, i sette canonici pasti della giornata.

  • Questa iniziava alle quattro e trenta circa, prima del sorgere del sole, con il primo pasto – “lu sdigghiunittu”.
  • Secondo tradizione, verso le sette, otto del mattino vi era la colazione, con patate, legumi o verdure dell’orto (zucchine, peperoni, fagiolini ecc.)
  • Alle dieci e trenta seguiva uno spuntino con panzanella, affettati, baccalà e frittelle – “la custumella”.
  • Poche ore più tardi, intorno alle tredici, era la volta del pranzo principale – “la merenna” – con pastasciutta, poca carne, insalata e vino.
  • Alle sedici e trenta, si consumava “la merennetta”, con torte dolci, formaggio ed affettati.
  • Al calare della sera, verso le diciannove e trenta, la cena, con insalata, pane e affettati.
  • Spesso il lavoro si protraeva sino a notte inoltrata e, allora, verso le ventidue, ventidue e trenta, vi era l’ultimo pasto della giornata con pane, affettati o formaggio.

Alla mietitura partecipava gran parte della popolazione rurale, compresi i piccoli artigiani che, per questo lavoro, erano pagati in natura, la qual cosa permetteva loro di rifornire la magra dispensa familiare.
In occasione della mietitura, vi era, anche, l’usanza di avviare un prosciutto per sfamare i lavoranti durante la lunga giornata passata sotto il sole, tra polvere, fatica e tanto sudore – il sale del prosciutto contribuiva non poco a ridare ai lavoranti i sali minerali perduti.
Per alleggerire la pesantezza del lavoro, si usava cantare e stornellare.
Dopo la fatica della mietitura si organizzava, infine, la festa della “bonfinita”, una delle più belle ed allegre presenti nella tradizione contadina.
Questa festa prevedeva sempre canti e balli sull’aia e un ricco banchetto, ove non mancavano mai pastasciutta, arrosti, insalate, vino e dolci.

Uno stornello della mietitura

Fiore d’ornello
chi nasce bruttu ‘n pote murì bellu
chi va a piedi ‘n po’ anna’ a cavallu.
[…]
Me ne vojo ji tantu lontanu
‘n me deve trova’ manco lu ventu
manco lu sole che cammina tantu.

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