Cannaiola sorge al centro della pianura trevana lungo la strada che, incrociando quasi perpendicolarmente via Nuova (l’attuale S.P. n. 447) volge a meridione, verso Picciche ed il territorio di Castel Ritaldi, prendendo il nome di via S.Angelo Nuovo.
A nord, la via corre verso la campagna, segnandovi il confine amministrativo con il Comune di Montefalco e prendendo il nome di via Paduli, un toponimo che ci ricorda un passato di paludi e di malaria.
Negli ultimi decenni, la crescita demografica ha comportato la costruzione di nuove abitazioni anche lungo la stessa strada provinciale.
Il paese occupa uno dei punti più depressi della Valle Umbra che, come abbiamo già ricordato nel paragrafo sulla bonifica, ha visto le alterne vicende del risanamento delle paludi delle quali, tuttavia, residuano alcuni piccoli stagni, oggi sicuramente interessanti dal punto di vista naturalistico.
Scrive il Bonilli che Cannaiola, in passato, vantava qualche preminenza sui borghi circostanti, tanto che era considerato il capoluogo del “Terziere del Piano”. Fu sede di un “Municipio”, più comunemente chiamato “Università di S. Angelo”, che aveva possedimenti terrieri piuttosto estesi e sulla provenienza dei quali non si hanno notizie sicure. Di certo si sa che il timbro garante dell’Università, era identico a quello della parrocchia e portava la scritta “UNIVERSITAS S. ANGELI IN CASTRO NOVO” intorno all’immagine di san Michele Arcangelo, patrono, allora come oggi, della comunità di Cannaiola.
Le sole persone deputate ad amministrare il Comune, i così detti “Massari e Camerlenghi”, erano gli abitanti originari del paese ed era istituzionalizzato “un annuo canone di scudi 15,1…” a beneficio della chiesa parrocchiale. I consigli di amministrazione si tenevano, di norma, “… nelle stanze poste sopra il tempietto del castello intitolato a S. Nicolò”, di cui diremo in seguito.
Il Comune ebbe autonomia fino al 1801, quando il Governo pontificio, per pagare i molteplici debiti, fu costretto a rendere demaniali molti possedimenti comunali, tra cui, appunto, quelli di Cannaiola. Questa Comunità continuò, tuttavia, ad amministrarli fino al 1826 per mezzo di due persone, i così detti “Deputati del Castello”. Nello stesso anno, “per ordine della Congregazione del Buon Governo, i beni del Comune di Cannaiola furono ceduti in enfiteusi perpetua a quello di Trevi …”, decretando di fatto la fine di questo piccolo municipio di campagna.
Nel territorio di Cannaiola ebbero importanti possedimenti le Abbazie di Sassovivo e di San Pietro di Bovara, mentre agli inizi del 1800 troviamo che la proprietà era in larga parte in mano alle famiglie benestanti del posto, tra cui spiccavano i Ciccaglia di Trevi. Di questa famiglia si dice che fosse originaria del castello di S.Giacomo di Spoleto e che avesse inizialmente il nome di Clarici. Di certo era l’unica famiglia a possedere in paese anche un’abitazione la quale “… sia all’esterno che all’interno avesse aspetto di ricca…”. La casa, ancora esistente, mantiene quasi inalterato il suo aspetto esterno originario ed è oggi di proprietà della famiglia Bonazzi Bonaca.
Il toponimo Cannaiola richiama le paludi ricche di cannucce che infestavano questo territorio rendendolo malsano, inospitale e luogo di malaria, tanto che l’ospedale di Trevi, per interessamento di un certo M. Monticelli, gestiva dei lasciti che venivano utilizzati “onde somministrare gratuitamente ai poveri di Cannaiola ogni sorta di medicina”.
L’insalubrità del posto sembra venisse aggravata anche dall’abitudine di macerare la canapa in prossimità delle abitazioni, nelle acque rese all’uopo stagnanti. Tale consuetudine durò fino al 1854, quando gli abitanti di Cannaiola, proprio per prevenire le infestazioni di malaria che li stavano consumando, vennero obbligati ad utilizzare come maceratoi i corsi d’acqua posti più a oriente, oltre il Fiumicello dei Prati. Da qui deriva, presumibilmente, anche l’attuale toponimo di Canapine dato alla zona – posta nei pressi di Borgo Trevi, ad ovest della ferrovia – oggi utilizzata per la produzione di ortaggi, tra cui il famoso sedano nero di Trevi.
Se è vero che differenti fonti riportano notizie sulla insalubrità di questi luoghi relativamente alle affezioni malariche, è abbastanza singolare – e per questo la riferiamo – la notizia riportata dal Bonilli secondo la quale “… dalla gran peste che nel 1500 desolò tutta l’Italia fino al colera del 1867, nessun morbo di tal specie è comparso in questo paese”.
Anche se l’etimologia del nome Cannaiola sembrerebbe avere origine dalle cannucce che crescevano nelle paludi, non possiamo sottacere che potrebbe derivare anche dal termine “canale” (canaiola o canaviola). In questo caso il nome gli deriverebbe, dunque, dall’essere stata per lungo tempo al centro di una terra da bonificare, ma soprattutto per aver sofferto, più di altre zone, le alterne vicende del risanamento. Queste sono state, troppo spesso, legate e soggette al campanilismo dei comuni circostanti, specialmente di quello di Montefalco, nel cui territorio debbono necessariamente defluire le acque dei canali che attraversano il nostro territorio. Con detto municipio, la controversia si chiuse soltanto nell’anno 1866. Da quel momento si avviarono tutti i lavori indispensabili per far defluire le acque stagnanti oltre la pianura trevana. Il promotore principale di quest’opera, secondo quanto ci riferisce il Bonilli, fu Tiberio Natalucci di Trevi “cui Cannaiola dovrà eterna gratitudine”.
Il terreno reso sgombro dalle acque si mostrò ben presto argilloso e piuttosto tenace, tanto che la sua messa a coltura non fu certamente impresa facile.
Fino ai primi decenni del novecento, in particolare fino all’avvento dei concimi chimici e delle trattrici, le rese delle colture erano, infatti, piuttosto basse. L’accentramento della proprietà nelle mani di pochi e la conseguente diffusione della mezzadria, determinarono, inoltre, in questa zona condizioni di vita miserabili, spesso al limite della sopravvivenza umana, resa possibile soltanto dal duro lavoro nei campi, dall’alba al tramonto.
Oggi si coltivano, con discreto successo, cereali, colture da rinnovo, tabacco, ortaggi e viti. Tra queste ricordiamo, in particolare, le viti di Trebbiano spoletino, un tempo esclusivamente maritate all’acero e all’olmo, di cui restano ormai pochi esemplari, e che trovano confacente il tipo di terreno qui presente. Si tratta di un vitigno locale appartenente alla famiglia dei trebbiani che dà un vino particolarmente robusto, fresco ed aromatico. È diffuso soprattutto nelle frazioni spoletine di San Brizio, Protte, Beroide e Camporoppolo, in quelle di La Bruna e Castel San Giovanni, nel comune di Castel Ritaldi, ed inoltre a Fratta di Montefalco e nelle frazioni di Cannaiola, Picciche e San Lorenzo di Trevi.
Tornando alla nostra storia, ricordiamo che il paese di Cannaiola era noto inizialmente con il nome di Sant’Angelo in Arsicciali, poi con quello di Castelnuovo, infine di Castello di Cannaiola e quindi, più semplicemente, di Cannaiola.
Notizie tramandate oralmente – l’archivio parrocchiale fu, infatti, bruciato dai Giacobini all’inizio del XIX secolo, con la conseguente distruzione di tutte le fonti documentarie più importanti – ci dicono che, agli inizi del 1400, il nucleo originario si trovava circa mezzo chilometro più ad est dell’attuale paese, in località Fiumicello dei Prati, in un punto assai infelice della vallata ove i corsi d’acqua s’impaludavano frequentemente. Quel luogo viene ancora oggi chiamato Sant’Angelo Vecchio, probabilmente in contrapposizione al toponimo Sant’Angelo Nuovo con il quale, come detto, viene denominata la via principale del paese. In quel sito, le arature dei campi hanno spesso riportato alla luce resti di murature ed altro materiale comunemente utilizzato per le costruzioni.
Il primo nucleo abitato si era sviluppato intorno alla chiesa parrocchiale di Sant’Angelo in Arsicciali – da cui prese nome il paese, il cui materiale di risulta fu successivamente utilizzato, almeno in parte, per la costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale.
Nulla resta di questo primo agglomerato: tuttavia possiamo notare che l’ingresso di alcune antiche case coloniche ancora esistenti, notoriamente tra le più vecchie del borgo, risulta opposto all’attuale viabilità principale e guarda, invece, verso il luogo ove doveva essere ubicata l’antica parrocchiale ed il primo nucleo abitato. Quello che sembrerebbe un controsenso potrebbe, in realtà, essere la testimonianza dell’esistenza in quella località del paese originario.
Allo stesso periodo si possono far risalire anche le prime costruzioni in via Paduli, altro luogo particolarmente soggetto alle inondazioni. Si può affermare, pertanto, che il paese era inizialmente formato da più agglomerati, distanti alcune centinaia di metri l’uno dall’altro, dei quali, in ogni caso, il principale era quello edificato in località Sant’Angelo Vecchio, presso il Fiumicello dei Prati.
Dopo il 1300, il torrente Tatarena, che scorreva lungo quella che oggi è la strada principale del paese, per ragioni di bonifica territoriale fu spostato ad occidente, ove venne opportunamente arginato e dove scorre anche attualmente. Gli abitanti, a quel punto, si trovarono una via rettilinea già pronta – il vecchio alveo abbandonato – e pensarono bene di utilizzarla come strada. Ciò portò alla successiva decisione di fabbricare le nuove case lungo la viabilità appena realizzata, facendo così sorgere il nucleo di via S.Angelo Nuovo e determinando il progressivo spostamento del paese verso occidente.
A meridione dell’abitato, lungo la strada che conduce a Picciche, si trovano ancora le mura dell’antico Castello. Questo aveva forma quadrangolare e un’unica porta verso oriente, sormontata da una torre pure, quadrangolare, con feritoie. All’interno della torre, originariamente vi erano dei vani circolari, utilizzati per il deposito delle armi. Il Castello di Cannaiola fu costruito intorno al 1540 per ordine del Comune di Trevi, soprattutto a scopo di difesa “… in quell’epoca malaugurata di guerre civili e di fraterne discordie…” –“Historia universale dello stato temporale ed ecclesiastico di Trevi 1745” di Durastante Natalucci.
Era circondato da un largo fossato che abbondava di pesci e di rane, superabile con un ponte levatoio. All’interno vi erano poche abitazioni utilizzate dalla popolazione solo in caso di necessità e una chiesina dedicata a s. Nicolò di Bari, con affreschi del 1476. Caduto in completa rovina, il piccolo luogo di culto venne definitivamente demolito nel 1869 e le pietre furono in parte riutilizzate per i rimaneggiamenti della chiesa parrocchiale. Parimenti, non restano tracce delle altre costruzioni interne. Il Bonilli, storico per eccellenza di Cannaiola, riferisce anche del crollo delle mura meridionali del castello, avvenuto nel 1850: è evidente, quindi, che quelle esistenti sono state ricostruite in epoca posteriore.
Dal 1877, in seguito al divieto imposto dai francesi di seppellire i defunti sotto i pavimenti delle chiese, il castello fu trasformato in cimitero civico e ancora oggi le sepolture avvengono all’interno di quello che fu l’antico fortilizio.
Il paese conta oggi circa 1.000 abitanti la cui economia è ancora prevalentemente di tipo rurale, seppure il reddito derivante dal lavoro dei campi integra ormai quello principale, legato all’occupazione nella piccola industria locale, nel terziario e nel pubblico: sono invece praticamente scomparse le ricche famiglie possidenti che ne avevano caratterizzato l’economia all’inizio dell’ottocento.
L’attuale centro abitato è costituito da gruppi di case unifamiliari piuttosto piccole, di più antica costruzione, addossate le une alle altre, con in comune i muri perimetrali. Accanto a queste compaiono singole abitazioni, di costruzione più recente, con annessa corte. In alcune, in particolare, si può ancora riconoscere la struttura tipica di quella che era la casa colonica di un tempo, diffusa in queste zone, con la scala d’accesso esterna e la loggia coperta.
Lungo le strade, isolate ai crocicchi della viabilità principale, o incastonate nei muri delle abitazioni, si trovano (in taluni casi si trovavano) delle edicole sacre, a testimonianza di un’antica devozione popolare. Alcune di esse sono di scarso o nullo valore artistico, altre, invece, si presentano affrescate e appaiono sicuramente di maggior pregio. Alcune sono state, purtroppo, demolite da pochi decenni, per le opere di ampliamento della sede stradale: di queste resta solo il racconto delle persone più anziane. Vale la pena di rammentarne alcune, come quella sita all’angolo nord orientale dell’incrocio di via S.Angelo Nuovo con via Castello, nella quale era dipinto il patrono di Cannaiola, san Michele Arcangelo; o, ancora, quella che si trovava davanti all’attuale scuola elementare, all’incrocio di via S.Angelo Nuovo con via Cavanella.
Tra quelle ancora presenti, citiamo, quella incastonata nel muro di casa Bonazzi Bonaca – la vecchia casa Ciccaglia, già nominata in queste note, di fronte alla chiesetta di Sant’Antonio Abate; o ancora, quella posta all’angolo nord occidentale dell’incrocio tra via Nuova e via Cavanella, più recente, databile intorno agli anni trenta. Questa reca affrescata l’immagine della Madonna della Stella ed è un ex-voto, per grazia ricevuta, della Famiglia Pergolari.
All’incrocio tra via Nuova e via S. Angelo nuovo, si incontra la piccola chiesa di San Fedele da Sigmaringa, già dedicata a s. Felice. Andata in progressiva rovina, fu risistemata nell’anno 1805 dalla famiglia Paolini e da questa dedicata al Martire Cappuccino. Vi si celebravano due feste importanti ogni anno, nel giorno dell’Ascensione e in quello dei SS. Pietro e Paolo, durante le quali, per tradizione, la famiglia Paolini, una delle famiglie benestanti della zona, distribuiva ai poveri pagnotte di pane.
Poco distante dalla chiesa parrocchiale, sulla via S. Angelo nuovo, si incontra la chiesetta seicentesca di S. Antonio Abate – già menzionata – fatta edificare nel 1660 dal parroco don Flaminio Renzi. Questa ha un solo altare dedicato al Santo e sulla parete un quadro che, come ci ricorda don Pietro Bonilli, “orridamente rappresenta la Vergine, S. Antonio e S. Filippo Neri”.
Tra le chiese minori, lo stesso Bonilli cita anche quella dedicata a S.Francesco di Paola, situata fuori dal paese, in località La Cuccia. Della stessa, tuttavia, non siamo riusciti a trovare altre tracce.
Al centro del paese, su un terrapieno opportunamente predisposto per evitare eventuali allagamenti, si erge la chiesa Parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo. Eletta santuario, accoglie oggi le spoglie mortali del beato Pietro Bonilli, elevato agli onori degli altari da papa Giovanni Paolo II il 24 aprile 1988.
L’inizio della costruzione della chiesa è datato intorno al 1602, ma nel corso degli anni è stata più volte ampliata e rimaneggiata. Oggi si presenta internamente in stile barocco mentre la copertura è stata modificata ulteriormente da pochi decenni e le volte a crociera sono state sostituite da capriate in legno e pianelle, di stile francescano.
Nel 1606 fu completata anche l’edificazione del campanile, di forma quadrata, che ha mantenuto inalterata nel tempo la sua struttura originaria e costituisce, quindi, un interessante esempio dell’architettura di quel periodo.
Sul lato destro, per chi entra nella chiesa, è posto il simulacro di san Marice, martire romano e co-protettore di Cannaiola dal lontano 1647. Ai piedi della statua si conservano i suoi resti mortali, concessi ai fedeli da papa Innocenzo X nel 1648, successivamente alla riapertura delle catacombe romane. Insieme a s. Marice, lo stesso Papa concesse anche le reliquie dei martiri Abbondio, Adriano, Giocondo, Maurizio, Quirino e Teodoro. Anche queste sono conservate nel santuario, all’interno di alcune teche.
Sulla parete sinistra della chiesa troviamo un crocefisso ligneo di stile barocco.
In seguito agli eventi sismici che nel 1997 hanno sconvolto questa parte dell’Umbria, nel 1998 le spoglie mortali del beato Pietro Bonilli, già ricomposte in un’urna di vetro, vennero trasferite nella chiesa parrocchiale di Cannaiola. Precedentemente erano conservate nella chiesa di San Filippo a Spoleto, danneggiata, appunto, da quegli eventi. Oggi sono visibili all’interno della cappella laterale sinistra, sormontate da una vetrata artistica, realizzata nel 1999 dallo studio Moretti-Caselli di Perugia, la cui immagine sintetizza in modo mirabile l’opera di carità più significativa avviata in vita dal Sacerdote.
La chiesa di Cannaiola conserva importanti ricordi dei 34 anni che il beato Bonilli trascorse come parroco nel paese. Tra questi citiamo un confessionale in noce da lui utilizzato, un “Gesù Bambino” barocco in cera e un maestoso gruppo statuario della santa Famiglia di Nazareth. Questo fu fatto realizzare dal Bonilli a Lecce, nel 1889, nella bottega di Pasquale Conte, secondo un’iconografia inedita, suggerita dallo stesso e che rappresenta Gesù in età adolescenziale. Il gruppo statuario si può oggi ammirare nel presbiterio, all’interno di una mostra d’altare lignea seicentesca, ulteriore testimonianza delle ricchezze custodite nella nostra pianura, apparentemente così povera di tesori d’arte. Opere che certamente meritano la visita dell’ospite più attento, che ne saprà trarre non poche soddisfazioni.
Note bibliografiche
- TREVI DE PLANU
- Natalucci D. Historia Universale dello Stato Temporale ed Ecclesiastico di Trevi 1745, A cura di Zenobi C., Ed. Dell’Arquata, Foligno 1985