La chiesa è una struttura a quattro navate, a croce greca.
Dalla cupola emerge una lanterna ottogonale con quattro finestre tabernacolari.
Fu ricostruita dalle fondamenta nel 1902 per volontà del parroco don Pietro Bolletta e consacrata dall’allora arcivescovo di Spoleto, mons. Domenico Serafini.
All’interno della chiesa si conservava una tavola cuspidata raffigurante una Madonna con bambino in trono, attribuita a Bartolomeo da Miranda, oggi al museo diocesano di Spoleto.
Le opere di maggior pregio sono presenti nell’abside, ove si riconoscono, tra le altre di minore valore frutto del lavoro di bottega, le figure della Madonna e del Santo patrono degne dei migliori lavori di Francesco Melanzio, discepolo del Perugino.
La chiesa fu realizzata prima del castello di Picciche, come testimoniato con certezza dalla presenza di un affresco datato 1510, dipinto, sulla parete sinistra, ad opera della bottega del Melanzio, forse dal nipote Febo.
Di questo lavoro ricordiamo un crocefisso tra quattro Santi, di cui oggi restano i ss. Sebastiano e Antonio Abate.
Di particolare pregio è anche l’organo, opera del Maestro Calogero La Monica di Viterbo e di suo figlio Pietro.
Tale strumento fu inaugurato il 16 ottobre 1805 nella chiesa di San Luca, a Spoleto. Fu quindi acquistato nel 1919, per 1.000 lire, dal parroco di Picciche, don Pietro Bolletta.
L’organo, a lungo inutilizzato, è oggi perfettamente funzionante grazie ai restauri della ditta folignate del signor Umberto Cruciani.
È possibile che questo edificio sia stato costruito sui ruderi di un antico tempio pagano.
Su un muro di questa chiesa lo spoletino Giuseppe Sordini, insigne archeologo, rinvenne un cippo con un’iscrizione in latino arcaico, risalente alla fine del II o III secolo a.C.
Si tratta di un blocco calcareo con incisa la così detta “lex spoletina” o “lex lucaris”:
Nessuno violi questo bosco né trasporti né porti via ciò che è bosco né tagli fuorché nel giorno in cui si farà il sacrificio annuo. In quel giorno, purché si faccia per causa del sacrificio, sia lecito tagliare senza colpa. Se qualcuno lo avrà violato, offra a Giove un sacrificio espiatorio con un bue e ci siano per quel sacrificio 300 assi di multa e l’esazione della multa spetti al consacrante.
Il tempio sui ruderi del quale, secondo un’antica tradizione, è stata forse edificata la chiesa di Picciche poteva essere dedicato a Giove e la legge incisa sulla pietra poteva essere quella di tutela di un bosco sacro qui presente. Una selva ormai scomparsa, che a quel tempo era lambita da un’importante via di comunicazione.
Precedentemente, sul colle di San Quirico era stato rinvenuto un altro cippo della stessa epoca, sempre riportante la legge di tutela del bosco sacro.
L’archeologo Sordini, che ne apprezzò l’importanza, provvide a rimuoverli dai luoghi di ritrovamento per farli custodire nel museo di Spoleto.