Sorge nei luoghi ove si tramanda la presenza della ‘Trevi de planu’: è un edificio tardomedioevale (fine XIII, inizio XIV secolo) con alcuni elementi architettonici che potrebbero indicarci una datazione più antica.
La presenza di reperti tratti da edifici romani si spiega con l’usanza, diffusissima nel Medioevo, di impiegare pezzi di vecchie costruzioni per la realizzazione di nuove.
Il portico, largamente ristrutturato nel 1956, può risalire al XV secolo e alla fine del secolo successivo data il campanile aggiunto in fondo alla navata destra.
Particolarmente interessanti sono gli affreschi votivi che decorano le pareti interne ed esterne della chiesa, alcuni opere artistiche di grande valore, altre semplici espressioni della devozione popolare, della religiosità del mondo contadino.
La maggior parte delle opere (Quirino R. in La Chiesa di Santa Maria di Pietrarossa, 1990: 93) si può datare al XV secolo con firme importanti come Bartolomeo da Miranda (Annunciazione sulla parete della navata destra, La Madonna della spiga – 1449 – all’esterno, San Bernardino da Siena, Madonna col Bambino benedicente ed altri), il così detto Maestro di Eggi con le rispettive botteghe (Andata al Calvario, Preghiera del Getsemani, Annunciazione ed altri), il Maestro della Dormitio di Terni (Cacciata di Gioacchino dal Tempio – fine XIV, primi XV secolo – Madonna col Bambino ed altri).
Sono inoltre presenti tracce di affreschi più antichi, come la testa di un San Pietro (fine XIII, forse inizio XIV secolo – raffigurato poco oltre l’ingresso principale, a destra).
L’edificio è piuttosto irregolare e asimmetrico, con evidenti e vasti restauri dovuti, tra gli altri, ai danni del terremoto del 1832 e alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. La presenza del grande porticato è da collegarsi alla necessità di ospitare un gran numero di persone che convenivano in questo luogo sia per motivi religiosi, sia sociali. Aveva il compito di accogliere fedeli e non fedeli in una sorta di area neutra.
Presso la struttura, che sorgeva lungo un’importante via di comunicazione, si svolgevano, infatti, fiere e mercati, tra cui la Fiera di San Giovanni.
Pietrarossa e la chiesa di Santa Maria ebbero in passato una funzione di incontro e accoglienza che la presenza del porticato antistante l’edificio religioso, così ricco di preziose pitture, ci testimonia pienamente.
Un luogo di riferimento per i cittadini di Trevi e per i viandanti che transitavano in questa terra.
Un luogo ove sostarono san Francesco e san Bernardino da Siena che qui, nel 1444, mediò la pace tra Foligno e Spoleto e dove, più umilmente e umanamente, convenivano le processioni dai paesi vicini a testimonianza dell’importanza di Santa Maria per la devozione popolare dell’intero territorio trevano.
Una curiosità: il termine ‘pietrarossa’ deriva da un blocco lapideo della misura di circa 64 x 42 x 14 cm, con un foro centrale, presente all’interno della chiesa.
La Pietra Rossa
Come dicevamo… un elemento di curiosità della struttura risiede nel nome Pietrarossa, legato alla pietra di colorazione rossiccia che si trova incastrata nel secondo pilastro a destra, entrando nella chiesa, e che forse un tempo era collocata in uno degli antichi edifici che arricchivano quest’area.
La devozione di un tempo riconosceva a tale pietra virtù terapeutiche, sia curative, sia favorevoli alla fecondità.
Per ottenerne i prodigi, la tradizione voleva che s’introducesse l’indice della mano nel foro presente al centro della pietra rossa, azione che doveva essere seguita da tre giri intorno all’altare, toccando l’immagine, qui affrescata, di san Giovanni.
Solo dopo aver compiuto questi atti devozionali e ripetuto una serie definita di Padre Nostro e Ave Maria, si poteva attingere l’acqua dal pozzo presente all’esterno, non lontano dalla chiesa, dedicato al Santo Battista, per berla o fare lavaggi purificatori.
Il pozzo di San Giovanni
Nei pressi della chiesa di Santa Maria di Pietrarossa troviamo, dunque, il pozzo di San Giovanni, citato in molti testi antichi per le sue acque taumaturgiche.
Per le notizie sul ‘pozzo’ rimandiamo alla bella relazione La festa e la fiera di SanGiovanni a Pietrarossa di Franco Spellani.
Acqua delle cento erbe o acqua di San Giovanni
In occasione della festa di San Giovanni (24 Giugno) le fanciulle solevano rinfrescarsi e profumarsi con un’acqua speciale, preparata per l’occasione: l’acqua delle cento erbe o acqua odorosa di San Giovanni.
Il giorno che precedeva la festa, le giovani donne, quelle nubili in particolare, raccoglievano fino a cento erbe differenti, scelte tra quelle aromatiche e
profumate che nei giorni del solstizio d’estate sprigionano al massimo i propri effluvi.
Tra queste non mancavano petali di rosa, fiori e foglie di lavanda, fiori d’iperico (erba di San Giovanni), biancospino, fiori di ginestra, artemisia, ruta,
corbezzolo, i profumi dell’orto (rametti di salvia e rosmarino, menta, timo, basilico, maggiorana, alloro, finocchio selvatico…), noce, fiori di tiglio e così via, fino a giungere a cento piante diverse.
Dopo la raccolta, mettevano le erbe a macerare nell’acqua fresca e lasciavano il tutto sulla finestra per consentire al Santo, nottetempo, di benedire il
prodotto così ottenuto e alla rugiada mattutina di donargli una freschezza ancora maggiore.
Di buon mattino filtravano il composto, ricavandone un liquido aromatico e fragrante.
L’acqua odorosa e benedetta era usata da tutta la famiglia per lavarsi nel giorno del santo titolare ed era utilizzata in particolare dalle giovani donne per
tergersi e profumarsi.
Si trattava di una sorta di “cerimonia lustrale”, connubio ancestrale tra riti cristiani e pagani, che rinnovava nel tempo una consuetudine antica, propiziatoria ed augurale, d’invocazione per sé e per la propria famiglia di salute, amore, prosperità e ricchezza.
Per San Giovanni, infine, si raccoglievano anche le noci, ancora verdi, per preparare il nocino, secondo ricette della tradizione, tramandate di madre in figlia, un liquore digestivo dal sapore gradevole e intenso.
Trevi de planu: alcune notizie…
Nell’area di Pietrarossa, come narra Durastante Natalucci nella sua Historia … di Trevi e secondo un’antica tradizione, sorgeva la Trevi antica, il municipio romano di Trebiae. Dalla lettura di questo, e di altri testi di storia locale, sembrerebbe che la ‘nostra’ città “… Acquistò grande rilevanza quando, in età imperiale, fu ripristinato l’antico corso della Flaminia e si sviluppò in pianura, in località Pietrarossa, una vera civitas con edifici monumentali di cui rimangono numerosi resti, mentre sul colle seguitò a sussistere l’arce fortificata con robuste mura del I sec. a.C. tuttora visibili…”.
In TREVI – Guida Turistica leggiamo a tal proposito che: “… Il commento alle satire di Giovenale, accennando al Clitunno, non lascia dubbi Fluvius qui Trevis civitatem Flaminiae interfluit”.
L’importanza del municipio trevano fu certamente rafforzata dall’aumentata evidenza del ramo secondario della strada Flaminia, che attraversava la valle umbra, passando di fronte alla facciata della chiesa di Santa Maria Pietrarossa.
In un certo momento della sua storia, Trevi viene anche ricordata come stazione intermedia tra Spoleto e Foligno e, in un documento degli inizi del XII secolo, si narra di una via che da Casale vadit a Trevi de planu.
La decadenza e la scomparsa pressoché totale della città di pianura si potrebbe spiegare con le rovine prodotte dagli eventi sismici, che nei secoli hanno afflitto la nostra regione, e citiamo, in particolare, il terremoto del 365 d.C, che secondo alcuni autori distrusse l’antica Trebia del piano.
Non scordiamo, poi, quanto descritto a proposito delle paludi che resero a lungo malsana e certamente inospitale la nostra bella valle, quando anche la via Flaminia, proprio per questo motivo, fu spostata più a monte e arricchita con diverticoli pedemontani, a testimonianza dei quali vi è la presenza di piccole pievi medievali.
Alcuni studiosi di storia locale non concordano, però, con la tesi della presenza in pianura di una vera città, ad es. Giuseppe Guerrini in “Le fonti storiche e documentarie sulla chiesa di S. Maria Pietrarossa”, ne La chiesa di Santa Maria Pietrarossa presso Trevi…, dice: “… Ma la tradizione ci dice soltanto che a Pietrarossa, nell’antichità, fu fabbricato qualcosa di grande, forse una città, forse Trevi stessa. Però se Pietrarossa fosse stata una città Plinio ne avrebbe parlato; il suo silenzio, in questo caso, conferma che doveva esserci laggiù qualche cosa di maestoso ma non una città…”.
Ne Le memorie francescane di Trevi, anche don Aurelio Bonaca afferma che Trevi anticamente si trovava là dove è attualmente ubicata e che le grandiose costruzioni presso Pietrarossa erano da attribuire al “balineum degli Ispellati”.
Come noto a Pietrarossa sono in corso importanti scavi archeologici, grazie ai quali, forse, potremo scoprire la verità sulla Trevi de planu.
La festa e la fiera di San Giovanni a Pietrarossa
A cura di Franco Spellani
A Pietrarossa, una volta Santa Maria di Piè di Trevi, dovremmo ricercare le radici della nostra civiltà.
Sulla sponda dell’antico lago, nel punto in cui la lingua di terra più si spinge nello specchio d’acqua, appare evidente il connubio dei due elementi che generano e favoriscono la vita.
È lecito pensare che qui si siano stabiliti i più antichi abitatori della valle.
In epoca storica la frequentazione di questo luogo è ampiamente testimoniata. Forse vi furono le terme e certamente un porto lacustre e poi fluviale, dove il fiume diventava lago e successivamente palude.
Esistono testimonianze e rimangono tracce nel terreno degli edifici e dell’antica strada consolare Flaminia e di strade che da qui risalivano verso le località montane e i valichi verso le Marche. Questo crocevia, che potremmo chiamare multimodale, cioè tra vie di terra e via d’acqua, certamente favorì la nascita di un punto di scambio, “emporium” o centro commerciale, con conseguente sviluppo edilizio, che nel basso medioevo si chiamò “Trevi del Piano”.
Qui, da tempo immemorabile, per la presenza delle sorgenti che affioravano e per le fresche e limpide acque del Clitunno prima che diventasse palude, furono particolarmente apprezzate le proprietà delle acque.
La deificazione pagana del fiume e dell’acqua sorgiva nei pozzi è stata assimilata dalla religione cristiana e convertita a nuove forme di culto.
L’antico tempio che secondo una tradizione fu dedicato a Giunone, risorse come chiesa dedicata alla Madonna e nasce spontaneo l’accostamento delle sorgenti di acque terapeutiche e miracolose alla figura di San Giovanni Battista che per mezzo dell’acqua purificatrice dà una nuova vita.
Certamente questa relazione fu colta da San Francesco poiché è attestato che qui il santo venisse a lavare le piaghe del lebbroso ricoverato nel vicino ospedale di San Tommaso, sull’altro lato della “Flaminia”.
Tale salvifica e terapeutica funzione dell’Acqua di San Giovanni fu ulteriormente convalidata dall’osservazione che in un pozzo, proprio nel periodo della festa dedicata al santo, l’acqua aumentasse di livello, fenomeno che si manifestava con maggiore evidenza ogni trent’anni (Mugnoni, 1921: sub anno 1468 e 1496).
Il fenomeno naturale suscitava certamente stupore, poiché era ritenuto in contro tendenza in quanto in questo periodo estivo generalmente si affievoliscono le numerose ma piccole sorgenti locali alimentate da “vene” superficiali e fu facile stabilire un collegamento miracoloso tra il ripetersi dell’evento e la festività della nascita di san Giovanni Battista il giorno del solstizio d’estate. Questa congiuntura astronomica cade il 20, 21 o 22 giugno, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo o quarto giorno successivo, quindi fin da tempi remoti era fissata al 24 di giugno (analogamente al Natale, il 25 dicembre, solstizio d’inverno). La coincidenza della notte di mezza estate con la festa di San Giovanni ha caricato questa festa dei significati che le erano propri già dal mondo pagano, tanto che nella nostra era si sono affermate e tramandate altre tradizioni, come le abluzioni rituali. Ci si lavava con l’acqua in cui erano state messe per tutta la notte erbe aromatiche, foglie e petali di fiori. Un rito tutto particolare si compiva la notte di San Giovanni quando le donne di Trevi si recavano a Pietrarossa in processione notturna per bere e lavarsi con l’acqua del pozzo di San Giovanni, sperando che questo rito favorisse la salute e la loro maternità. Questa particolare devozione è da porre in relazione alla nascita miracolosa di san Giovanni da una donna in età avanzata. Verso il 1570 la processione fu soppressa per motivi che diremmo “di ordine pubblico”, poiché era invalsa l’usanza che le giovani approfittavano del devoto pellegrinaggio per farsi “rapire” dai temerari innamorati e così prendere per marito chi volevano loro e non colui che avevano loro destinato le famiglie. Cosa per quei tempi intollerabile! (Natalucci, 1985: 559) Ma nel giorno della festa convenivano processioni da parrocchie vicine e lontane, analogamente a quanto avveniva per le feste dei santuari più noti quali la Madonna delle Lagrime, Sant’Arcangelo e Santi Pietro e Paolo a Cancelli e la festa crebbe con la fama del santuario che, oltre a meta di pellegrinaggi sia singoli che collettivi, fu anche teatro di spettacolari episodi di riappacificazione di potenti contendenti. Tanto che, oltre ad un crocevia naturale come detto, questo santuario si può considerare un crocevia della storia. Ogni festa importante era seguita nel medioevo da uno o più giorni di fiera (il nome deriva dal latino feria da cui ha origine anche la parola festa) e l’evento, nato per lo scambio di merci, era anche per molti l’unica occasione di incontro con persone al di fuori della strettissima cerchia di conoscenze abituali. La caratteristica principale di tali appuntamenti ricorrenti era l’esenzione dei dazi e delle gabelle per le merci scambiate, salvo varie eccezioni e addirittura l’immunità e la sospensione della pena per alcuni reati. Una nota curiosa: sembra che i cittadini schernissero gli ingenui villici con scherzi e lazzi, usanza questa praticata in Toscana, ma anche dalle parti nostre tanto che, secondo lo storico locale, molti avventori affluivano ben volentieri a Trevi perché qui “non ricevevano le insolenze e villanie che li si fanno in certi luoghi” (Natalucci, 1985: 830). Le fiere e i mercati a Trevi assunsero un’importanza determinante per l’economia locale, ma ne fecero anche un punto di riferimento per gli scambi commerciali dei paesi vicini e non solo, poiché vi convenivano anche molti operatori dalle Marche. La disponibilità di tante merci paragonabili a quelle di un porto di mare, valse a Trevi l’appellativo di “porto secco” e tale vivacità commerciale certamente ne ha influenzato anche la storia. Purtroppo di tali importanti convegni ci sono giunte soltanto scarse notizie, la maggior parte delle quali soltanto in modo indiretto. Fino alla fine dell’Ottocento c’era mercato a Trevi tutti i giovedì, da ottobre al giovedì santo, “per consuetudine immemorabile”, documentato fin dalla fine del Trecento. Il bestiame da macello quivi acquistato veniva poi inviato al mercato di Roma che aveva luogo il giovedì successivo (Venturini, 1900-1902: 5v). Ma altrettanto importanti erano le fiere della Madonna della Neve, il 5 agosto per dieci giorni, della Madonna di Settembre, fin dal 1463, per sette giorni, di Sant’Emiliano, per quindici giorni e dei santi Vincenzo e Benigno, per tre giorni. Duravano invece soltanto un giorno le fiere di Santa Lucia, di San Bartolomeo e della Madonna delle Lagrime che si effettuava la prima domenica di ogni mese, poi estesa anche ai lunedì successivi. Interessante è l’origine della fiera di marzo, che si istituì nel 1484 quando i trevani non furono ammessi a frequentare la fiera di Foligno per inimicizia tra i due comuni. Pertanto si istituì la fiera a Trevi il 28 marzo, per dieci giorni, con efficace lancio pubblicitario (lettere patenti a tutti i governi limitrofi) e con grande successo. Purtroppo nel 1498 oltre che a Foligno fu fatta la fiera a Spoleto nello stesso periodo “et per questa fo lassata quella de Trevj” (Mugnoni, sub anno). Così va il mondo! Ora la fiera è rimasta per il primo lunedì di marzo. In questo contesto una rilevanza particolare ebbe la fiera di Pietrarossa che per la natura del luogo, centrale per tutta la vallata, ebbe un notevole sviluppo e nel tempo assunse caratteristiche particolari. Il più antico riferimento alla fiera si trova in un documento del 1429 e riguarda la nomina e le incombenze di sei soprastanti o maestri della fiera, i quali dovevano vigilare su eventuali danni e amministravano la giustizia. Tali funzionari, che negli anni variarono di numero, erano coadiuvati da un capo dei soldati o connestabile che disponeva di varie decine di uomini per mantenere l’ordine (Natalucci, 1985: 828). Forse tanto personale si rese necessario per prevenire illeciti che avrebbero potuto verificarsi per la particolare ubicazione della località, distante dal corpo di guardia comunale, vicina alla strada e ai confini con Foligno. Della fiera si trovano notizie anche nello Statuto più antico (Rubrica 220), quando si vieta espressamente di vendere vino nei venerdì di marzo, cioè in tempo di quaresima e in una “riformanza” del 1477 in cui si stabilisce che le merci in vendita sotto il portico stiano alla distanza di quattro piedi dalle pitture (Natalucci, 1985: 557). Purtroppo tanti sorveglianti e armati non sempre riuscirono a mantenere l’ordine e la fiera venne soppressa nel 1597 a causa di “alcuni omicidij” che vi si commisero e venne istituita la fiera della Madonna della Neve, sopra ricordata, che ne conservò tutti i privilegi. Da allora rimase la fiera solo per il giorno della festa di San Giovanni e dal 1730 venne istituita la fiera anche nel giorno della festa di Sant’Isidoro, patrono degli agricoltori e dei bifolchi, con la cerimonia della benedizione dei buoi (Natalucci 1985: 831, 832). La fiera di San Giovanni, ristretta al commercio di merci e commestibili (Bonaca, 1931: 26), poi di attrezzi e prodotti agricoli, in particolare di attrezzi per l’imminente mietitura, cannelli per salvare le dita, falci e battifalci, cesti e canestri, si protrasse fino agli anni ’50 del Novecento, quando la sua funzione fu rapidamente rilevata da negozi specializzati in prodotti agricoli. Parimenti decadde la festa, poiché non vi giunsero più processioni dai paesi vicini e ultimamente il giorno di San Giovanni si effettuava una processione dalla chiesa alla croce verso la “Flaminia”, poi dalla parte opposta fino al Clitunno e ritorno in chiesa. Il terremoto e la conseguente chiusura della chiesa hanno fatto il resto! Ora, si vuole cogliere l’occasione della riapertura al pubblico di questa magnifica chiesa, per istituire un nuovo mercato dei prodotti agricoli: gli ortaggi, assolutamente speciali, coltivati nei rinomati orti delle Canapine. A chilometri zero!
Nota bene: il pozzo in primo piano in street view non è il pozzo di San Giovanni, la cui tradizione terapeutica è legata alla storia di san Francesco.
Itinerari consigliati
- Itinerario delle Canapine
Note bibliografiche
- AA.VV La Chiesa di Santa Maria di Pietrarossa presso Trevi: il territorio, l’archeologia, l’architettura, la decorazione pittorica, il santuario mariano, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, vol. LXXXVII (1990)
- Natalucci D. Historia Universale dello Stato Temporale ed Ecclesiastico di Trevi 1745, A cura di Zenobi C., Ed. Dell’Arquata, Foligno 1985
- Don Aurelio Bonaca Trevi nella natura, nella storia, nell’arte, Terni, s.d. (1931)
- Francesco Mugnoni Annali di Trevi dal 1416 al 1503, a cura di d. P. Pirri, Perugia, 1921
- Don Eugenio Venturini Parrocchia di S. Croce in Trevi. Memorie, ms. inedito, 1900-1902 [*]
- Statuto del 1432 o ‘Statuto vetustiore‘, Archivio Storico del Comune di Trevi [*]
- [*] www.protrevi.com
- LA FIERA DI SAN GIOVANNI – 28 giugno 2014 Pietrarossa di Trevi mercato degli orti di Trevi e dei prodotti biologici
- TREVI DE PLANU