IL PAESAGGIO OLIVETATO STORICO È ELEMENTO CARATTERIZZANTE DELL’IDENTITÀ REGIONALE: CI PARLA DI STORIA E DI TRADIZIONI ULTRASECOLARI, CI RACCONTA DELLA SUA GENTE E DELL’ECCELLENZA DI UN OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA RICONOSCIUTO COME UNICO
La fascia olivetata compresa tra Spoleto e Assisi, caratterizzata dalla sistemazione del terreno a gradoni e a terrazzamenti e dalla presenza di numerosi olivi secolari, interessa le colline a oriente della Valle Umbra meridionale e comprende anche parte dei territori comunali di Spello, Foligno,Trevi e Campello sul Clitunno.
Analoga sistemazione della superficie olivetata, con presenza di terrazzamenti con muri di contenimento a secco, la troviamo anche in una ristretta area del versante occidentale dei monti Martani, in località Colpetrazzo nel comune di Massa Martana: qui, tuttavia, si tratta di una storia decisamente più recente legata a sistemazioni agronomiche e forestali realizzate nel secolo scorso.
In Valle Umbra la coltivazione dell’olivo interessa versanti collinari e pedemontani spesso molto scoscesi, ove il substrato pedologico prevalente è quello del detrito di falda. Questo determina un suolo agrario poco profondo, molto ricco di scheletro e per questo estremamente permeabile e poco adatto a trattenere a lungo l’umidità nel terreno.
Il detrito di falda è un deposito di versante che deriva da movimenti di massa di diversa estensione e si origina dalla disgregazione della roccia calcarea (qui ricca di formazioni gelive quali la Scaglia Bianca, la Scaglia Rossa, la Maiolica). Talora è ben evidente la stratificazione, determinata dall’alternanza di livelli più ricchi di materiali fini, terrosi, a strati che ne sono più poveri. In questa area il detrito di falda può avere spessori molto variabili, fino a parecchie decine di metri, con composizione e dimensione dei singoli elementi (clasti) relativamente omogenee. Il movimento che ne ha prodotto l’accumulo è stato, in genere, molto lento e moderatamente ridotto, per questo il pietrame si presenta con spigoli vivi. L’abbondanza di questo materiale lungo i versanti indica un periodo d’irrigidimento climatico nel passato, nel corso del quale l’intensità delle azioni di disgregazione (crioclastiche) furono superiori a quelle che agiscono attualmente, permettendo la formazione di importanti spessori detritici.
L’olivo, nel corso dei secoli, si è dimostrata l’unica pianta agraria in grado di colonizzare con successo tale substrato, soprattutto per la grande resistenza all’aridità che, in questi luoghi, inevitabilmente sopraggiunge con l’estate.
La coltura dell’olivo è stata introdotta nella nostra regione a opera dei romani. Questi la diffusero in tutta la penisola italiana che conservò a lungo il monopolio commerciale dell’olio, essendo stata vietata la coltivazione degli olivi oltralpe.
Con le invasioni barbariche anche gli oliveti caddero in forte declino, così come altre coltivazioni, mentre ebbe forte sviluppo l’allevamento libero con l’espansione delle aree pascolive, successivamente gestite attraverso forme associative originatesi in quel periodo come le Comunanze agrarie e i Domini collettivi, ancora vigenti.Tra gli invasori solo i Longobardi ebbero un rapporto di speciale rispetto per l’olivo. La coltivazione di questa pianta ritornò in auge, e divenne economicamente importante, a partire dal Medioevo, sia a seguito della trasformazione del sistema feudale sia, in particolare, per l’opera dei monaci benedettini. Questi, per assicurare l’autonomia economica dei propri conventi, sfruttarono ogni appezzamento di terra disponibile, studiando le migliori forme di uso agrario e portando metodi innovativi nel campo delle scienze agronomiche.
Agli inizi del secondo millennio, sulle nostre colline la coltivazione dell’olivo avveniva all’interno delle cinte murarie degli agglomerati urbani o, in ogni caso, nei pressi dell’abitato, all’interno di appezzamenti di terreno protetti da mura. Da questo caratteristico sistema di coltivazione deriva il termine ‘clausura’, poi diventato ‘chiusura’ e ‘chiusa’ ancora oggi utilizzato in questa zona dell’Umbria per designare una superficie olivetata.
Alla fine del XV secolo le ‘chiuse’ con gli olivi erano decisamente aumentate e a Trevi il Comune decise di organizzare la molitura delle olive presso i molini sul Clitunno, in località Faustana, utilizzando a tal fine la forza idraulica del fiume.
Così ci racconta il Mugnoni: [c. 79 v] «1491 et die XVIJ de marzo fo facto el contracto tra lu comune de Trevj et certj maestrj de fare el molino ad conocchia allo ponte del fiume che va ad Spulitj con macine 4, due de grano et due de olio, con multj pactj bonj, como appare per le manu de ser Martino da Bevagnj cancelliero […]». Ed ancora: [112]
«Sonno moltiplicate le chiuse de le olive: che valiva la pianta de l’uliva uno baiocho et al più uno boligino: ora vale boligini 4 la pianta; et similemente de le piante delli ulmi per le pergole» [Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi; www.protrevi.com].
Per inciso, ricordiamo che alle alberate e alle viti maritate (e quindi alle pergole) abbiamo dedicato la scheda ‘Matigge, via Ellera, alberate di viti maritate a bagolari e orniello’, e un articolo in ‘Appendice’.
Il termine ‘chiusa’, o meglio il riferimento a oliveti intra clausem, è comunque precedente, essendo citato nei documenti dell’abbazia di Sassovivo.
Nelle carte del Collegio Lucarini di Trevi, del XVIII secolo, il termine ‘chiusa’ è spesso utilizzato per richiamare le cure colturali effettuate negli oliveti («per zappatura, lavoratura e potatura della chiusa») o anche per il ripristino delle opere murarie («per risarcire il muro caduto d’una chiusa»).
La fortuna dell’olivicoltura si ebbe a partire dal XVIII-XIX secolo, grazie all’intervento dello Stato pontificio che aveva giurisdizione su questo territorio. Il governo papale «decise di concedere premi in denaro a chiunque piantasse e curasse a regola d’arte le piante d’olivo». Per tale motivo, grazie anche alla facilità con la quale allora si poteva trovare la manodopera, in un solo decennio ne vennero messe a dimora circa quarantamila, secondo sesti regolari. Lo Stato pontificio, tra l’altro, arrivò ad autorizzare l’estirpazione del bosco solo a condizione che lo stesso fosse sostituito da oliveti terrazzati: veniva così assicurato un sufficiente contrasto al dissesto idrogeologico che poteva essere determinato dal disboscamento e al contempo si garantiva alle popolazioni un riscontro economico, forse modesto, ma duraturo nel tempo. Soprattutto, si otteneva un prodotto prezioso molto ricercato dalla stessa corte papale che spesso approfittò del proprio potere temporale per imporre un prezzo dell’olio davvero poco conveniente per gli olivicoltori.
Lungo una linea ideale che a Trevi si può ritenere approssimativamente individuata a nord dall’antico tracciato della così detta strada delle Selvette e a sud dalla strada dei Condotti, possiamo ancora apprezzare la demarcazione tra il sistema di coltivazione degli oliveti più vecchi e quello relativo agli impianti realizzati con i benefici offerti dallo Stato papale. A monte di questa linea, infatti, gli oliveti che hanno progressivamente sostituito il bosco sono stati organizzati in sesti di impianto regolari, diversamente da quelli più antichi coltivati a valle. Anche in questo caso esistono delle eccezioni: a monte di questa linea, infatti, sono comunque presenti oliveti molto antichi vicino agli insediamenti montastici e conventuali del territorio.
Per riuscire a coltivare anche dove la gravità sembra rendere improponibile ogni forma di attività antropica, sono state necessarie cure pazienti. Si è dovuto lavorare su versanti ripidi e sassosi, creare ripiani di sola terra, i ciglioni, o dare forma a piccole terrazze circolari o semicircolari delimitate da muretti a secco, le lunette, costruite minuziosamente e con pazienza intorno alle singole piante d’olivo; o ancora, sono stati realizzati i terrazzamenti, usando pietrame a secco e mettendo in opera le pietre a una a una, con un mestiere antico fatto di precisione, fatica e grande costanza.
Un lavoro essenziale per rendere possibili quelle minime cure colturali di cui questa pianta, pure così frugale, ha comunque bisogno per consentire la raccolta del frutto prezioso, l’oliva, avendo lo spazio minimo indispensabile per le scale che, appoggiate ai piantoni, permettono la raccolta delle drupe dai rami più alti e più scomodi.
Nasce così, da secoli di duro lavoro dell’uomo, il paesaggio olivetato storico, spesso gradonato, che oggi definisce inconfondibilmente l’ambiente collinare e pedemontano della Valle Umbra meridionale. Un grande impegno protrattosi per secoli che ha aumentato il pregio di questi terreni. L’olivo ha rappresentato e rappresenta la ricchezza di questi luoghi: ancora oggi il prezzo di un oliveto deriva dal numero delle piante presenti,‘i piantoni’ in dialetto, piuttosto che dalla estensione del terreno olivetato.
Nel XVIII-XIX secolo la moltiplicazione delle piante d’olivo per i nuovi impianti fu effettuata partendo dagli ovoli asportati dalla base di piante madri. La scarsità di questo materiale di propagazione impedì di operare una selezione qualitativa nei confronti della produzione e della adattabilità alle particolari condizioni pedo-climatiche del luogo; tale selezione si è avuta nel tempo a opera degli eventi climatici avversi e dell’azione dell’uomo agricoltore e ha determinato l’attuale biodiversità che caratterizza questi antichi oliveti: esempio tipico è l’olivo di Sant’Emiliano.
L’olivo dista soltanto duecento metri da San Pietro di Bovara, su un terreno che fu di proprietà di questa abbazia benedettina, e anche questo sembrerebbe confermare la dedizione riservata dai monaci all’olivicoltura.
Fino alla Seconda guerra mondiale, i maggiori proprietari di oliveti molivano in proprio le olive prodotte, tanto che dal periodo Napoleonico fino agli anni ‘40 del XX secolo a Trevi si contavano ben 27 ‘mole’.Tre di queste erano mosse dall’energia idraulica, le altre grazie al lavoro degli animali. In genere come energia motrice ‘viva’ erano utilizzati cavalli, asini e mucche ma non di rado anche gli uomini si assoggettavano a tanta, bestiale fatica. Dalla seconda metà dell’Ottocento si iniziò a utilizzare qualche caldaia a vapore; dal Novecento, progressivamente, la forza motrice dei mulini divenne quasi esclusivamente l’energia elettrica [www.protrevi.com].
Nel nostro territorio, tenendo conto della classificazione fatta dal Pavari, l’olivo occupa la zona fito-climatica del Lauretum, che, con esposizione sud sud-ovest, si estende dal limite della pianura alluvionale sino a circa 550-600 m s.l.m., ove ha sostituito la vegetazione boschiva spontanea.
La specie arborea naturale tipica di questa zona è, infatti, il leccio, pianta della macchia mediterranea che si può ancora ammirare nel nostro ambiente. In questi boschi residuali il leccio è presente sia in associazione con altre specie arboree tipiche di questa fascia climatica, come il pino d’Aleppo e il cipresso comune, sia anche in purezza quasi totale. Nella nostra regione, dunque, la sostituzione della copertura boschiva con gli oliveti è opera storica dell’uomo-abitante che, pur di favorire e mantenere l’insediamento di questa coltura in un ambiente fisico difficile e al limite termico per la vita stessa dell’olivo, si è fatto artefice di una delle opere di sistemazione idraulico-agraria più difficili, più imponenti e mirabili della storia dell’agricoltura mediterranea.
Gli oliveti che ricoprono la fascia pedemontana tra Assisi e Spoleto assumono l’aspetto fitto e continuativo che si può osservare ancora oggi percorrendo la Valle Umbra. È questa un’olivicoltura che, per essere posta su terreni in forte pendenza, risulta difficile e non lascia molto spazio alla meccanizzazione, permettendo il solo uso di piccole macchine agevolatrici. Da sempre la potatura è effettuata manualmente da abili potatori che sanno riconoscere a colpo d’occhio i rami da tagliare da quelli per la produzione dell’anno successivo, mantenendo armonica la chioma: oggi questi potatori si concedono, al massimo, l’uso delle forbici pneumatiche. Un tempo era abitudine diffusa effettuare la ‘slupatura’ dei tronchi per eliminare i tessuti morti interni, la cosiddetta ‘carie’.
Gran parte delle piante in produzione è ‘tricaule’: è formata, cioè, da tre tronchi distinti allevati da tre polloni emessi dalla stessa ceppaia o da tre piante distinte impiantate ai vertici di un immaginario triangolo equilatero. Le piante ‘monocaule’ si trovano più frequentemente negli oliveti più antichi o nei pochi oliveti meno acclivi, e quindi più comodi, dove per la raccolta si cerca di utilizzare le macchine scuotitrici che richiedono particolari forme di allevamento delle piante. In tutte le altre situazioni la raccolta viene effettuata manualmente, un tempo quasi esclusivamente dalle donne, con il sistema della ‘brucatura a mano’ utilizzando scale di legno di castagno e caratteristiche gerle di tela portate a tracolla, i cosiddetti ‘cujituji’, dove le olive raccolte venivano lasciate cadere. Per agevolare il duro lavoro manuale, sono successivamente entrati in uso piccoli rastrelli: le olive così raccolte vengono lasciate cadere sui ‘teli’ stesi a terra e di volta in volta spostati sotto la pianta oggetto di raccolta; questo sistema non è sempre utilizzabile, perché richiede una superficie sufficientemente piana e abbastanza ampia. Oggi si usano anche rastrelli e pettini pneumatici montati su aste, portati in spalla. Dove non è possibile stendere i teli per l’eccessiva pendenza del terreno, la raccolta è ancora manuale con le olive lasciate cadere nei ‘cujituji’. La gestione dell’oliveto è praticamente immutata da secoli: ove è possibile accedere con piccoli trattori o motocoltivatori il terreno viene erpicato in primavera (un tempo si usavano gli animali da traino), altrimenti è lasciato inerbire. In questo caso, e comunque intorno alle piante, si interviene manualmente con scerbature effettuate utilizzando i decespugliatori a spalla. Si usano le motozappe quando c’è da interrare lo stallatico o altro concime, in genere organico. I trattamenti con fitofarmaci sono ridotti o inesistenti e si privilegia l’uso del rame per prevenire le malattie fungine che, in ogni caso, sono rare e legate ad andamenti stagionali particolarmente avversi.
Questo paesaggio olivetato presenta ancora un buon livello di conservazione, grazie anche alle caratteristiche della proprietà terriera che, tranne poche eccezioni, è fortemente polverizzata: per questo gli oliveti sono spesso gestiti come occupazione secondaria a carattere familiare, per la grande affezione degli umbri verso questa coltura e per la qualità unica dell’olio extravergine che vi si produce. Tutto ciò ha impedito, fino a oggi, l’abbandono degli oliveti. I proprietari delle ‘chiuse’, molti dei quali appartengono ancora a quella generazione che è vissuta del duro lavoro dei campi, continuano a occuparsi dei loro terreni e a effettuarvi faticosi interventi manutentori.
La conservazione del paesaggio olivetato storico è finalmente oggetto di una particolare attenzione da parte delle Amministrazioni locali, che si stanno adoperando per mantenere un ambiente che è ormai universalmente percepito come un ‘paesaggio culturale’, strettamente connesso alla storia, alle tradizioni e al sapere di questi luoghi; un paesaggio che si dimostra ogni giorno di più quale volàno fondamentale per lo sviluppo di una economia sostenibile legata al turismo ‘slow’, capace di cogliere le particolarità più intime e speciali espresse dal territorio.
Il passaggio inevitabile dalla generazione che attualmente si occupa degli oliveti storici della Valle Umbra a quella che sta lentamente subentrando rappresenterà, certamente, uno dei problemi che dovrà essere affrontato e risolto per riuscire a mantenere la difficile integrità di questo splendido paesaggio. La mancanza di competenze diffuse nelle nuove generazioni, con le oggettive difficoltà di coltivazione di molti oliveti, aumenta la necessità di manodopera esterna alla famiglia; tutto ciò determina l’inevitabile lievitare dei costi, sempre meno compensati dai ricavi derivanti dalla commercializzazione dell’olio extravergine umbro, seppure unico per qualità organolettiche e caratteristiche sensoriali. Da qui la necessità di ‘offrire’ insieme a un prodotto di qualità eccelsa, quale è il nostro olio extravergine di oliva, il valore intrinseco e reale del sistema ‘paesaggio & cultura’ della Valle Umbra: è, forse, questa l’ultima possibilità di investire nel futuro sostenibile della nostra terra, un ambiente unico per storia, cultura, tradizioni e qualità della vita.
LE PRINCIPALI CULTIVAR PRESENTI NEL TERRITORIO DELLA VALLE UMBRA MERIDIONALE
Le cultivar principali sono ‘Moraiolo’,‘Leccino’ e ‘Frantoio’: Moraiolo ≥60%, Leccino e/o Frantoio ≤30%, altre varietà ≤10%. La cultivar ‘Moraiolo’ ha una vigoria limitata con chioma mediamente densa, rami fruttiferi tendenzialmente eretti, foglie corte, frutto piccolo. Si tratta di una varietà autosterile (necessita, quindi, di cultivar impollinatrice); fiorisce pressoché contemporaneamente al ‘Leccino’ e al ‘Frantoio’. L’olio prodotto da questa varietà è di un bel colore verde dai riflessi gialli ed è descritto come «Olio dal fruttato medio-intenso, di tipo verde. Al gusto equilibrato con buone sensazioni di amaro e piccante». Le altre due cultivar (‘Leccino’ e ‘Frantoio’) sono entrambe caratterizzate da piante di elevata vigoria, con chioma espansa e densa, rami fruttiferi semipenduli e foglie ellittico-lanceolate di medie dimensioni. La cultivar ‘Leccino’ è autosterile. L’olio ottenuto da questa cultivar è così descritto «Olio dal fruttato medio, di tipo verde.
Equilibrato nelle sensazioni gustative di dolce, amaro, piccante». La cultivar ‘Frantoio’ è autofertile, ma si avvantaggia dall’impollinazione con altre cultivar. Ha una sensibilità media alle gelate invernali e una elevata produttività. L’olio ottenuto da questa cultivar è così descritto «Olio dal fruttato medio-intenso, di tipo verde. Equilibrato nelle sensazioni gustative di dolce, amaro, piccante».
LA DOP UMBRIA E LE 5 SOTTOZONE
La DOP Umbria è stata suddivisa in cinque sottozone:
DOP Umbria, menzione geografica ‘Colli Assisi Spoleto’
DOP Umbria, menzione geografica ‘Colli Martani’
DOP Umbria, menzione geografica ‘Colli Amerini’
DOP Umbria, menzione geografica ‘Colli del Trasimeno’
DOP Umbria, menzione geografica ‘Colli Orvietani’In ciascuna delle sottozone sono coltivate alcune cultivar diverse da quelle prevalenti nelle altre e diversi sono i rapporti percentuali delle varietà negli oliveti. Per questo nell’olio ottenuto da una raccolta che segue gli antichi ritmi di produzione si registrano odori e sapori differenti.
L’evoluzione delle tecniche di coltivazione e l’uso di anticipare i tempi di raccolta e di molitura tendono, tuttavia, a uniformare il gusto dell’olio prodotto nelle diverse sottozone [‘Le 5 Sottozone’, www.oliodopumbria.it].
- Varietà di Olivo in Umbria, ARUSIA, Editrice Pliniana, Perugia 2000
- A. Paggi,T. Ravagli,‘Gli oliveti storici di Trevi’, Newsletter n. 7, Fondazione Villa Fabri, Osservatorio regionale dell’Umbria per la Biodiversità, il Paesaggio rurale e la Progettazione sostenibile,Trevi, giugno 2015
- A. Paggi,T. Ravagli,‘I luoghi e le forme del paesaggio olivetato di Trevi’ ,‘Proposte per il paesaggio olivetato storico di Trevi’, Laboratorio sul paesaggio olivetato storico (a cura del), Convegno Il Paesaggio Olivetato Storico della Valle Umbra,Trevi 5 dicembre 2014
- www.oliodopumbria.it
- www.protrevi.com
- www.treviambiente.it
Parlando dei bellissimi OLIVI che caratterizzano l’ambiente e il paesaggio di questi luoghi, non possiamo mancare di annotare quanto sia difficile scegliere questo o quell’esemplare per una puntuale segnalazione e un censimento ancor più dettagliato.
Rimanendo semplicemente nell’area ove abbiamo rilevato i due olivi di casa Pinnocchio a Trevi, ci sovvengono alla mente anche i bellissimi esemplari presenti a monte della ‘Strada dei Condotti’ (e, quindi, come già detto, del ‘Sentiero degli Ulivi’). In particolare alcuni di essi si concentrano a ridosso del Cimitero monumentale di Trevi, che sorge poco a monte, in quegli stessi luoghi che un tempo erano occupati dal Convento dei Cappuccini, detto anche di Sant’Antonio:
«[…] Sopra un colle bellissimo, da cui si spazia nell’ampia verde umbra vallata, era la dimora dei Padri Cappuccini. […] I Cappuccini vennero a Trevi nel 1559 ed in principio fu loro dato un eremitaggio, che era stato fondato da Senzino di Bernardino da Trevi. Poco dopo però e poco lontano dall’eremitaggio fu costruito un Convento. Fatti di grande importanza non notano i documenti che parlano dei Cappuccini; si sa che i buoni Frati furono pieni di zelo e di carità. Le Riformanze del Comune notano i vari sussidi che venivano loro concessi […]» [Le memorie francescane di Trevi, 1927, p. 61, www.protrevi.com].
Non è escluso, pertanto, che questi vecchi, bellissimi olivi siano proprio il frutto e la memoria di quella antica presenza.
Così, il nostro viaggio di conoscenza attraverso il PAESAGGIO OLIVETATO STORICO DELLA VALLE UMBRA continua…
Percorrere ed esplorare la fascia olivetata storica che borda a oriente la Valle Umbra è spesso l’occasione di incontri sorprendenti: alberi di ritorta bellezza che racchiudono la storia e l’anima di questo paesaggio e del territorio che lo comprende. Piante che non sempre raggiungono dimensioni così notevoli da meritare di prima acchito l’appellativo di ‘albero monumentale’, ma dalle forme così straordinarie e inusuali da reggere il confronto con i capolavori scolpiti dagli esseri umani, verde vivente che rapisce lo sguardo anche del visitatore più disincantato e distratto, «alberi non a misura di vita umana, e che [hanno] perciò a che fare con la fede, con la religione» (citando, con una piccola variazione nel tempo del verbo, Leonardo Sciascia che così descrive gli olivi secolari dai tronchi attorcigliati che vegetano possenti sulle colline siciliane).
Nel nostro racconto dedicato ai patriarchi verdi ma anche al paesaggio che li racchiude gelosamente, un posto di primo piano lo abbiamo riservato sin dall’inizio agli olivi più belli e interessanti che vegetano nel meraviglioso ambiente della Valle Umbra.
Un paesaggio che è elemento caratterizzante dell’identità locale e regionale, che ci parla di storia e di tradizioni ultrasecolari, che ci racconta del lavoro incessante dell’uomo agricoltore e di uno straordinario olio extravergine di oliva «riconosciuto come unico per il gusto raffinato, dai sentori fruttati, con buone sensazioni di amaro, dolce e piccante, nonché per le indiscutibili proprietà salutari».
Un paesaggio che oggi sopravvive grazie alla caparbietà degli olivicoltori e all’impegno delle amministrazioni locali. Un paesaggio con caratteristiche morfologiche e ambientali che rendono impossibile raggiungere una sufficiente meccanizzazione nella lavorazione dei terreni e della raccolta delle olive e che non consentono alla nostra olivicoltura di essere economicamente competitiva sulla base esclusiva del fattore quantitativo; una olivicoltura che riesce, invece, a eccellere quando l’elemento caratterizzante è il paesaggio unito alla qualità dell’olio extravergine prodotto. Un paesaggio collinare che si estende per oltre 40 km, nei comuni di Spoleto, Campello sul Clitunno,Trevi, Foligno, Spello, Assisi, con oltre 6.000 ha coltivati a oliveto per un totale di quasi 1.500.000 ‘piantoni’ e più di 4.200 aziende olivicole coinvolte, molte delle quali ancora a carattere familiare [www.fasciaolivata.it, 13 dicembre 2018].
La fascia olivata storica Assisi-Spoleto, è un esempio unico di «paesaggio culturale vivente […] un’opera combinata della natura e dell’uomo» da preservare e valorizzare per «trasformare la marginalità in un’opportunità di crescita comune, di identità, realizzando un paesaggio di valore, irripetibile e universale» [FO. Fascia Olivata Assisi/Spoleto. PATRIMONIO DI CULTURA MILLENARIA, depliant].