La caratterizzazione di un territorio trova uno dei
principali punti di forza nei prodotti tipici locali, vale a
dire in quelle produzioni dell’agricoltura, dell’artigianato e
della cucina locale il cui nome evoca immancabilmente il
territorio d’origine.
Trevi annovera un insieme di prodotti tipici, preziosità del
gusto e della qualità, che è inscindibilmente legato alla
storia, alla cultura e alle tradizioni stesse di questa terra.
Alcuni di questi prodotti sono adeguatamente valorizzati e hanno
ricevuto il giusto tributo alle loro ineguagliabili tipicità,
per alcuni vi è la necessità di una maggiore attenzione, per
altri, infine, è auspicabile una riscoperta sia da parte della
popolazione, che delle Amministrazioni locali e territoriali, a
vantaggio di quel turismo intelligente e sempre più attento,
oggi particolarmente fecondo, che vuole cogliere ed assaporare
l’essenza più vera del territorio che si sta visitando.
Trevi è morfologicamente legata al suo paesaggio olivato, ai
terrazzamenti dei versanti collinari sorretti da muretti di
pietre a secco, che rappresentano un’opera di sistemazione
idraulico-agraria esemplare per semplicità ed efficacia,
retaggio di un passato ormai lontano. Da questi terreni,
altrimenti aridi e improduttivi, nasce il re delle produzioni
tipiche locali: l’olio extravergine
d’oliva che con il suo caratteristico sapore di fruttato
padroneggia nella cucina locale dalla forte impronta contadina.
Accanto all’olio, tra le produzioni ormai ben conosciute e
caratterizzanti in modo chiaro questa città e il suo territorio,
vi è sicuramente il sedano nero che è prodotto in quella ridotta
striscia di terra, coltivata ad ortaggi, denominata Canapine.
È un ecotipo locale dalle particolari caratteristiche
organolettiche.
È coltivato con sistemi artigianali utilizzando
pratiche agronomiche tradizionali che si tramandano da
generazioni, tra cui l’irrigazione, che utilizza esclusivamente
l’acqua limpida e sorgiva del fiume Clitunno. Il sedano nero è
raccolto nel mese d’ottobre ed in quel periodo entra
prepotentemente nella cucina locale dando origine a piatti
succulenti e ricercati, sposandosi con l’olio extravergine
d’oliva e spesso con le saporite salsicce trevane.
Ottobre,
dunque, è il mese del sedano nero e delle salsicce; è il periodo
delle taverne aperte, delle rievocazioni storiche e dei
festeggiamenti, che trovano la massima espressione nella mostra
mercato del Sedano Nero e della Salsiccia, che si tiene nel
Capoluogo, ogni anno, la terza domenica del mese.
Rimanendo con il sedano nero nella valle trevana, annotiamo che fino a pochi
decenni fa la pianura era in pratica coperta da viti di
trebbiano spoletino maritate all’acero o all’olmo.
E’ questo un
vitigno locale di pianura, diffuso in un’area ristretta di poche
decine di chilometri quadrati, dal quale origina un vino bianco
e corposo, fresco e molto aromatico, ma anche un ottimo passito
da dolce, il vinsanto e, secondo un uso più recente, anche un
eccellente spumante. Il vino trebbiano spoletino è oggi più raro
da trovare, poiché nel recente passato le piantate sono state in
larga parte abbattute per lasciare il posto alle colture
industriali. Con un po’ di pazienza si può ancora scovare da
qualche piccolo agricoltore della pianura e presso qualche
cantina dello spoletino.
Spostandoci verso la porzione più
settentrionale del territorio comunale, s’incontra la frazione
montana di Manciano. In questi luoghi, su un altopiano di
modeste dimensioni, sopravvivono alcuni ettari di castagneti, la
cui appartenenza varietale è riconducibile ad una castagna
locale particolarmente saporita.
La modesta quantità prodotta
difficilmente arriva sul mercato, essa è il frutto di boschi che
certo meriterebbero interventi colturali importanti per
aumentarne la resa e per promuovere economicamente questo
prodotto di qualità. Le castagne di Manciano un tempo erano
assai apprezzate e si vendevano non solo nei mercati trevani ma
anche in quelli spoletini. Durante la stagione di raccolta vale
la pena portarsi presso i luoghi di produzione per l’acquisto di
questa specialità locale, che per caratteristiche organolettiche
non ha nulla da invidiare alle varietà più conosciute e
rinomate. Durante la nota mostra mercato del Sedano Nero e della
Salsiccia è sempre presente almeno un produttore locale che
vende i frutti squisiti dei suoi boschi: autentiche e prelibate
castagne trevane.
Per finire questa breve presentazione dei
prodotti tipici del nostro territorio, non possiamo dimenticare
quelli la cui produzione si è persa nel tempo, ma che hanno
avuto un’importanza decisiva nella storia di questo popolo,
nella povera economia rurale e particolarmente per la gente di
più umile origine. Parliamo della canapa, un tempo largamente
coltivata sui terreni più freschi della pianura, utilizzata per
la produzione di manufatti artigianali come tessuti e cordami, e
delle rane che, pescate in abbondanza negli stagni e nei fossi
planiziali, per diventare indispensabile integrazione proteica
sulle mense più povere, erano sapientemente trasformate in
piatti saporiti.
Oggi, queste pietanze possono essere trovate e
assaporate nell’ambito di qualche sagra paesana: è certamente
auspicabile la loro piena riscoperta e valorizzazione, con
l’invito di venire a degustarle nell’Aia de lu contadinu,
taverna che offre stuzzicanti piatti tradizionali, durante la
Festa della trebbiatura, a Cannaiola. Una festa paesana che si
svolge nell’arco di dieci giorni, nella prima quindicina di
luglio, durante la quale si rievoca la trebbiatura del grano,
così come si svolgeva prima dell’avvento delle grosse
mietitrebbiatrici. Una sagra nata perché la memoria non si perda
e i giovani possano conoscere e ricordare l’immane fatica della
mietitura, riproponendo le tradizioni che l’accompagnavano.
La
mietitura iniziava alle quattro e trenta circa, prima del
sorgere del sole, con il primo pasto, lu sdigghiunittu.
Secondo
tradizione, verso le sette, otto del mattino vi era la
colazione, con patate, legumi o verdure dell’orto (zucchine,
peperoni, fagiolini, ed altro ancora); alle dieci e trenta
seguiva uno spuntino con panzanella, salumi affettati, baccalà e
frittelle, la così detta custumella. Poche ore più tardi,
intorno alle tredici, era la volta del pranzo principale, la
merenna, con pastasciutta, poca carne, insalata e vino. Alle
sedici e trenta, si consumava la merennetta, con torte dolci,
formaggio ed affettati, seguita, al calare della sera, verso le
diciannove e trenta, dalla cena, con insalata, pane e di nuovo
affettati.
Il lavoro si protraeva spesso sino a notte inoltrata
e, allora, verso le ventidue, ventidue e trenta, vi era l’ultimo
pasto della giornata con pane, affettati o formaggio. In
occasione della mietitura, vi era l’usanza di avviare un
prosciutto per sfamare i lavoranti durante la lunga giornata
passata sotto il sole, tra polvere, fatica e tanto sudore.
Giampaolo
Filippucci, Alvaro Paggi e Tiziana Ravagli |