trevi de planu
... recuperare una disattenzione storica, come quella
subita dal nostro territorio di pianura...
... L'occhio attento ed amorevole di chi vi abita, come
quello del visitatore accorto, saprà allora cogliere...
continua>>
Il territorio della Valle Umbra è fecondo di emergenze
storiche, architettoniche e naturalistiche, molto spesso
sconosciute e in troppi casi caratterizzate da un avanzato
stato di rovina...
continua>>
Tutti i grandi sono stati bambini una volta (Ma pochi se
ne ricordano) da "Il Piccolo Principe"
di Antoine De Saint-Exupery
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Alcuni
terremoti che hanno lasciato un segno nella nostra valle
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Iniziamo questo breve resoconto
ricordando i più antichi sismi del 243 e del 263 d.C. e
citando il terremoto del 365 d.C, che, secondo alcuni
autori, distrusse l’antica Trebiae del piano.
Neanche un secolo dopo si ebbe la crisi sismica del 446 d.C,
che ridusse di molto la portata sia del fiume Clitunno, sia
di altri corsi d’acqua. Questa crisi, databile secondo
alcuni autori al 440 d.C., afflisse la regione europea per
circa sei mesi.
Nella “Rosa dell’Umbria” di Giuseppe Bragazzi, leggiamo: “…
Di ciò oltre vari Autori parla il celebre Baglivi nel suo
scritto sul Terremoto di Roma, ove si leggono in proposito
del Clitunno le seguenti parole – De amoenitate hujus loci
et fluminis testimonia sunt apud Propertium, Silium Italicum,
Virgilium, etc. Tempore Plinii tanta erat acquae copia in
hoc fluvio, ut facile sustinere poterat binas cymbas
onerarias. Terremotu vero memorabili Anno 446 vel 440, quo
per sex menses Costantinopolis et pene totus Orbis
quatiebatur, ut narrat Nicephorus, magnam suarum aquarum
partem amisit, ut pluribus rationibus probat Bernardnus Vir
celebris ex cotibus Campellorum in Historia Spoletana.”.
Anche lo storico Niceforo, nella sua “Historia
Ecclesiastica”, ricorda i fatti con dovizia di
particolari, descrivendo l’evento come di gran lunga
superiore a tutti i terremoti precedenti, per estensione,
velocità e durata nel tempo e raccontando di grande
distruzione di edifici e templi in ogni luogo. La riduzione
delle acque del Clitunno per gli effetti del sisma è anche
citata nella lettera quarta del primo libro di Sidonio
Apollinare, vescovo di Clermont, vissuto a cavallo
dell’epoca interessata dall’immane cataclisma.
Durastante Natalucci ricorda un altro sisma che, in tempi
più recenti, causò un’ulteriore, sensibile riduzione della
portata del Clitunno: si tratta del terremoto del 1703, che
colpì anche la terra di Trevi. A seguito di quell’evento si
registrò, infatti, una diminuzione del numero di macine del
mulino che le acque del fiume riuscivano a far lavorare
simultaneamente.
La prima scossa della sequenza del 1703 fu avvertita alle
ore 1,30 della notte del 14 gennaio. Secondo Durastante
Natalucci in quel periodo si ebbero terremoti terribili,
che, tuttavia, nel nostro territorio comunale non
provocarono danni ingenti (specialmente, se raffrontati con
quelli delle città più duramente colpite, come Norcia). È da
annotare, comunque, che l’autore riferisce soprattutto dei
danni subiti dalla città di Trevi, intesa nella sua
accezione di capoluogo municipale, ignorando frequentemente
quelli delle frazioni, come è accaduto nei resoconti sulla
crisi sismica del 1689-’90. In relazione a questo evento
nella “Historia … di Trevi” del Natalucci leggiamo: “… Conforme non li
fecero nuovamente il 1689 e seguenti anni, che incussero
gran timore e furono causa <che> si facessero varie
divozioni, e si ottenesse la benedizione del pontefice…”
Ne “I Terremoti dell’Appennino Umbro-Marchigiano” troviamo
che quella del 1703 fu una crisi sismica “durata oltre un
anno, caratterizzata da tre forti scosse, fra le più
violente e distruttive della storia italiana. … I danni
furono catastrofici e coinvolsero l’intera rete insediativa
dell’Umbria meridionale con effetti e ripercussioni
pluridecennali.”
In particolare, ricordiamo che a seguito di quell’evento il
Governo pontificio istituì una nuova struttura
amministrativa, denominata “Congregazione sopra le materie
del terremoto”, che ebbe il compito di esaminare le
richieste di aiuto e d’intervento, nonché quelle di proroga
delle esenzioni fiscali che giungevano da tutte le zone
colpite dal sisma e ricadenti nel territorio di competenza.
Questo terremoto colpì un ambito territoriale molto vasto
dell’Appennino centrale, dalla regione umbro-reatina fino
all’aquilana; causò circa 10.000 vittime, di cui
approssimativamente 2.000 in Umbria. La massima intensità fu
dell’XI grado MCS e il territorio di Trevi fu interessato da
effetti valutabili intorno al VII-VIII grado della stessa
scala. Dal Catalogo Mercalli sappiamo che la scossa del 14
gennaio distrusse quasi per intero la città di Norcia,
prossima all’epicentro, già duramente lesionata dalla scossa
del 18 ottobre del 1702 e successivamente colpita
intensamente anche da quelle del 16 e 25 gennaio e del 25
febbraio dello stesso anno, 1703. In quella città perirono
circa 800 persone, pari ad oltre ¼ della popolazione
residente.
Si registrarono notevoli danni in tutta la valle umbra
meridionale, da Montefalco a Bevagna, da Spello a Trevi,
dove vennero segnalati deterioramenti al Palazzo comunale,
agli acquedotti e alle cisterne pubbliche, alle mura, al
muro della Porta del Cieco, al carcere, ecc.
La crisi sismica del 1703 colpì anche la città di Roma con
danni alla Basilica Vaticana (2 febbraio) e al Colosseo (3
febbraio). La prima scossa fu risentita, seppure in maniera
appena percettibile, anche a Milano, Trento e Venezia.
Ventisette anni più tardi, una nuova crisi sismica colpì
ancora la Valnerina, con scosse di varia intensità, che si
susseguirono tra il 12 e il 27 maggio del 1730, causando
notevoli rovine e nella sola Norcia circa 200 vittime.
A Trevi furono segnalati lievi danni agli edifici. Leggiamo
in “Historia … di Trevi”: “… E non sono state le fabriche
cusì soggette a patire per i terremoti avvenuti nel corrente
secolo fino al 1745, come patirono quelle delle terre della
montagna e della città di Spoleto l’an. 1703 di Norcia e di
altri luoghi il 1730, e delle città della Marca il 1741, i
quali, tutto che <sono> stati terribilissimi, non gli
portarono danno…”
Per la cronaca, ricordiamo che il terremoto avvenne in un
periodo in cui a Roma era riunito il conclave. Benedetto
XIII, infatti, era morto il 21 febbraio e si dovette
attendere il 12 luglio per avere il nuovo papa, Clemente XII,
consacrato il 16 dello stesso mese. Sempre per la cronaca, e
rifacendoci a quanto descritto nella “Historia … di Trevi”,
ricordiamo brevemente anche il terremoto del 24 aprile 1741,
con epicentro nell’Appennino marchigiano ove raggiunse
l’intensità massima del 9° grado. A Trevi quel sisma ebbe
effetti riferibili all’VIII grado della scala MCS e provocò,
tutto sommato, danni lievi.
Dall’ottobre del 1791 all’aprile del 1793 la montagna del
folignate e, più a meridione, il territorio di Sellano
furono colpiti da una sequenza sismica, che interessò un
areale molto simile a quello della crisi sismica a noi più
vicina, iniziata nel settembre del 1997. Le cronache del
tempo non diedero molto rilievo a quegli eventi,
evidenziando soprattutto i danni di Foligno ed ignorando le
rovine delle zone montane. La scossa principale avvenne il
giorno 11 ottobre, alle ore 20,00 circa.
Durante questo evento furono danneggiati anche i mulini
della Comunità di Trevi, posti sul fiume Clitunno in
località Faustana. Qui l’intensità del sisma fu circa del VI
grado della scala MCS.
Il terremoto del 1791 contribuì in maniera determinante,
insieme all’incuria dell’uomo, alla rovina di una buona
parte del patrimonio di “palombare” o “palombaje”, cioè di
quelle torri utilizzate, nella porzione superiore, come
piccionaia. Le lesioni indotte dai terremoti imposero molto
spesso la distruzione delle colombaie, che minacciavano la
stabilità delle costruzioni circostanti, svettando
pericolosamente al di sopra delle stesse.
Giungiamo con la nostra cronaca alla lunga sequenza sismica
che, tra l’ottobre del 1831 e l’aprile del 1832, colpì la
Valle del Topino, causando, tra l’altro, la distruzione
quasi completa della basilica di Santa Maria degli Angeli di
Assisi.
La scossa che determinò le maggiori rovine fu quella del 13
gennaio, poco dopo le otto della sera, seguita da due scosse
di poco più lievi e da oltre 130 repliche.
Dopo la scossa del 22 gennaio a Foligno non era più agibile
alcuno degli edifici pubblici e tra le chiese potevano
essere praticate solo la Cattedrale e Santa Maria del
Pianto.
Il 29 gennaio, circa alle ore 1,30 di notte, una nuova
scossa di notevole intensità (VII grado scala MCS) causò
danni importanti anche a Trevi.
Le scosse continuarono per tutto il mese di marzo,
determinando ulteriori rovine in un patrimonio edilizio
ormai quasi completamente danneggiato.
L’ultima scossa di rilievo di questa sequenza fu avvertita
il 19 aprile.
In “Il Terremoto di Foligno del 1832” si precisa che,
attraverso un calcolo matematico, confrontato con dati
sperimentali, la profondità ipocentrale è stata valutata
intorno a 5-7 km dal piano campagna.
È interessante riportare alcuni resoconti dell’epoca, che
bene ci illustrano la situazione drammatica in cui si trovò
a versare la popolazione di tutta la valle umbra: “…
quasi tutti i casali <furono> ridotti un mucchio di
sassi o resi inabitabili pel continuo pericolo di rovina…”
e a Bevagna, “… Niuna Chiesa è in grado di essere
officiata. Le Monache dormono sotto le miserabili capanne
dell’orto, la povera gente nelle campagne, è in tutto lo
squallore e il lutto”.
Prima e dopo la scossa del 13 gennaio, in varie zone della
pianura furono fatte osservazioni particolari: a Budino, ad
esempio, furono notate delle fenditure del terreno dalle
quali si ebbero fuoriuscite di acqua, sabbia e fango, che
schizzarono anche a ragguardevoli altezze (molti palmi).
Verso Bevagna si trovarono buche di forma circolare, del
diametro di circa 3 palmi (70 cm), dalle quali erano emerse
acqua e fango. Nei pressi di Corvia e Bevagna fu annotata la
presenza di fenditure con uscita di sostanze bituminose ed
emissione di zolfo. A Cannara e a Cantagalli ci furono
segnalazioni di forti variazioni dell’altezza dell’acqua in
taluni pozzi. Secondo Baratta, infine, qualche giorno prima
del 13 gennaio, nella pianura furono uditi rumori
sotterranei (simili, probabilmente, a quelli di cui narrano
alcuni abitanti del folignate, percepiti nelle notti che
hanno preceduto la crisi sismica del 1997).
Tornando al nostro territorio comunale, citiamo che a Trevi
la scossa fu risentita di intensità pari al VII-VIII grado
della scala MCS e tutte le abitazioni patirono danni più o
meno gravi. In quell’occasione subì forti rovine anche la
chiesa delle Lacrime. Delle 400 abitazioni censite nel
capoluogo municipale, il 10% fu considerato inabitabile ed
un ulteriore 20% circa solo parzialmente agibile. In
sinistra e in destra idrografica del fiume Clitunno, la
scossa del 13 gennaio fu ugualmente risentita con intensità
di circa VII-VIII grado della scala MCS e, in generale,
altri abitati del comune di Trevi risultarono molto
danneggiati. Nella tabella che segue riportiamo un elenco
dei danni subiti dalle principali frazioni del nostro
municipio.
Nome
della Frazione |
|
Abitazioni Censite |
|
|
Abitazioni Pericolanti |
|
|
|
Abitazioni Inabitabili |
|
|
|
|
Abitazioni Inabitabili/Parte |
|
|
|
|
|
Abitazioni Abitabili |
|
|
|
|
|
|
Abitazioni
Leggermente Lesionate |
|
|
|
|
|
|
|
MCS |
Cannaiola
|
105 |
3 |
7 |
5 |
30 |
60 |
8 |
Bovara |
130 |
1 |
7 |
19 |
30 |
73 |
8 |
Coste
S.Paolo |
75 |
1 |
|
7 |
14 |
53 |
8 |
Manciano
|
35 |
2 |
4 |
10 |
2 |
17 |
8 |
Matigge |
80 |
9 |
4 |
4 |
22 |
41 |
8 |
Parrano
|
95 |
1 |
4 |
8 |
14 |
68 |
8 |
Picciche |
40 |
1 |
1 |
4 |
8 |
26 |
8 |
Pigge |
70 |
|
|
3 |
13 |
54 |
7 |
Ponze |
15 |
|
1 |
|
5 |
9 |
7 |
S. Lorenzo |
40 |
3 |
1 |
11 |
17 |
8 |
8 |
S.Maria
in Valle |
95 |
1 |
4 |
8 |
14 |
68 |
7 |
Pettino |
22 |
|
|
|
3 |
19 |
6 |
Dopo soli 22 anni, il 12 febbraio del
1854, una nuova sequenza sismica offese ancora una volta la
Valle del Topino, fortunatamente con intensità e danni
minori.
Nel 1866 altri guizzi della terra provocarono sul Monte
Serano una ferita lacerante, inferta all’antico calcare per
oltre un chilometro.
Solo dodici anni più tardi un nuovo terremoto,
dell’intensità pari a circa l’VIII grado della scala MCS,
colpì la valle del Clitunno, con epicentro tra la Madonna
della Stella (il cui santuario subì lesioni gravissime) e
Fratta di Montefalco. Il sisma fu accompagnato da piogge
violentissime che resero ancora più disagevole la situazione
delle povere popolazioni già duramente colpite.
Trevi, nell’occasione, subì danni tutto sommato leggeri e
comunque non ben precisati.
Siamo così giunti al XX secolo. Nel 1915 l’Italia
centro-meridionale fu scossa da uno dei terremoti più
catastrofici che la storia della sismologia nazionale
ricordi: quello che colpì, in particolare, la città di
Avezzano distruggendola completamente e apportò rovine
immani in tutta la Marsica. La scossa del 13 gennaio di
quell’anno fu di magnitudo 7.1, e, con riferimento alla
scala MCS, di XI grado. Il sisma, propagandosi verso nord,
fu risentito anche in molti paesi dell’Umbria, ma senza
segnalazioni di danni particolari. A tale proposito non
scordiamo che, oltre al dramma della gente abruzzese, vi era
una forte preoccupazione per la possibile entrata in guerra
dell’Italia: era già scoppiato, infatti, il I conflitto
mondiale. È pertanto possibile che danni di non eccezionale
gravità venissero omessi dalle cronache, per dare il giusto
risalto alle catastrofi, avvenute o incombenti.
Arriviamo agli anni settanta e citiamo, in particolare, il
terremoto del 19 settembre 1979 che sconvolse la Valnerina,
danneggiando oltre 5.000 edifici e mettendo a rischio un
patrimonio di grande valore storico ed artistico. Anche
questo terremoto è stato avvertito dalle nostre popolazione,
soprattutto da quelle montane.
Negli anni ‘80 ricordiamo il terremoto che, il 29 aprile del
1984, colpì le zone di Gubbio e Perugia e fu risentito
anche, seppure non intensamente, nel territorio trevano.
Tredici anni più tardi, infine, il 4 settembre del 1997
prese l’avvio l’ultima in ordine di tempo delle sequenze
sismiche che hanno martoriato la nostra valle, più volte
profondamente ferita dalla forza della natura. La scossa
della notte del 26 settembre fu, come noto, di magnitudo
pari a 5.6, mentre, per quella delle 11,40 del mattino fu
calcolata una magnitudo appena superiore, di 5.8. Successivi
studi di grande dettaglio stabilirono, tuttavia, che quest’ultima
scossa fu in effetti una sequenza di due scosse più piccole,
ravvicinatissime nel tempo e che esaltarono reciprocamente i
propri effetti.
Ma questa è una storia recente, che conosciamo tutti sin
troppo bene.

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La chiesa di Santa Maria Pietrarossa messa in sicurezza
dopo il terremoto del 1997
La chiesa di Santa Maria Pietrarossa messa in sicurezza
dopo il terremoto del 1997
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